« Stazzema: il giorno della nostra vergogna »

di Marco Bucciantini
dal sito www.unita.it
«Per noi è il giorno della vergogna», dice il ministro dell’Interno della Germania.
Lo fa dalla cima del sentiero che porta alla lapide che commemora i 560 morti di Sant’Anna di Stazzema.
Sotto, in mezzo a tanta gente, lo ascoltano anche Enio Mancini e Ada Battistini.
Lui, quel 12 agosto del 1944 a sette anni vide il mitra spianato e puntato addosso.

«Poi il comandante disse “Raus, raus!”. Non so perché ebbe quel moto d’umanità».

Intorno, le altre compagnie di Ss del secondo Battaglione, spalleggiate dai fascisti del posto, uccidevano civili inermi.
Poi bruciavano le case.
Fecero anche un mucchio di cadaveri nella piazzetta della chiesa, dove Enio solitamente giocava con gli amici.
«Ci nascondemmo per 40 giorni nelle grotte del bosco.
Uscimmo quando arrivarono gli americani».
Anche Ada è invecchiata senza compagnia.
Aveva tredici anni, quattro soldati, tre italiani e un tedesco, fecero irruzione in casa sua, dove si rifugiavano 50 persone.
Li portarono fuori, per ucciderli: la parte avanzata della fila fu fucilata.
Quelli rimasti indietro, nascosti da un avvallamento, si salvarono: «Il biondino ci fece gesto di stare calmi.
Poi sparò per aria, alle pecore, al bue. Ci risparmiò, e fece credere agli altri tre di averci ucciso».
Il 60° appuntamento con «questo luogo vibrante di tragici sottintesi», come scrive la critica d’arte che presenta “Soffio d’anime”, la mostra sull’eccidio di Finotti con opere in granito e marmo esposte nel giardino della chiesa, ha questo sussulto storico.
Mai un esponente del governo tedesco era giunto a Stazzema.
Ci viene Otto Schily, insieme con il ministro dell’Interno Beppe Pisanu.
Sotto la grande lapide ci sono i fiori freschi.
Sul marmo sono impressi pochi cognomi, perché in queste vallate i ceppi sono i soliti da sempre: i Pieri, i Pardini (come Anna, 25 giorni di vita, la più piccola delle vittime), i Battistini.
C’è un vaso poggiato da due bambini, con una dedica struggente ai piccoli morti (in 130 avevano meno di 16 anni).
Alle 11, con le nuvole basse che nascondono le vette apuane, comincia la cerimonia, i discorsi ufficiali, dopo l’inno italiano, che una signora urla come fosse posseduta.
Tocca al sindaco di Sant’Anna, Michele Silicani, emozionato.
Quindi ad Otto Schily, in italiano.
«Il 12 agosto del 1944 per i tedeschi è il giorno della vergogna.
Fascismo e nazismo tradirono i valori europei, i nostri carnefici trovarono alleati anche in Italia, ma fu un’epoca popolata anche di altre persone: dai soldati che si rifiutarono di sparare, dalle vittime e dai loro parenti sopravvissuti che hanno dovuto attendere 60 anni per trovare giustizia.
Indagini avviate tanta esitazione e fin troppo ritardo».
Poi il ministro tedesco ha esteso alla nuova Europa il monito: «L’Europa è anche il lascito delle vittime del 12 agosto: serva per far nascere una comunità fondata sulla sicurezza, sulla cultura, sulla libertà».
Una citazione per i due partigiani, Sandro Pertini e Willy Brandt.
Pisanu tributa Sant’Anna, «piccola-grande patria della Resistenza silenziosa, fatta dalla società civile capace di ribellarsi all’oppressione nazista».
Il capo del Viminale si richiama ad «Adenauer e De Gasperi, artefici di un’Europa politicamente unita.
Ma una Costituzione non basta: dobbiamo lavorare su impegni concreti.
Questa collaborazione fra italiani e tedeschi, qui, dalla collina di Sant’Anna, ci fa guardare al futuro con fiducia».
Si “allenta” il cerimoniale, la stessa signora che intonava Mameli ora è più in basso e accompagna la Marcia dei coscritti, fieramente eseguita dalla Fanfara degli Alpini della Versilia.
«Gnun d’Italia desidera guera, né masacri né scene d’oror...».
Ma come, alpini in Versilia? Trombe, clarinetti, tamburi, qualche chilo di troppo, qualche anno di troppo, eh? «Ma così siamo affiatati», e suonano la Trentatré, il loro inno.
Suona anche la famiglia Westermann: vengono da Essen, lui, il capofamiglia è prima tromba nell’orchestra della cittadina industriale.
Organizzano eventi musicali con i tre figli (anche loro qui con una deliziosa amica) e raccolgono fondi per donare «un organo alla Chiesa di Sant’Anna», strumento che fu bruciato quel 12 agosto, e ancora manca.
Fra i loro sostenitori anche Johannes Rau, il Bundespresident, che l’anno scorso andò con Ciampi a Marzabotto, per dire le parole che oggi ripete Schily.
Elisa ascolta, si tormenta i capelli.
Pisana, 16 anni, piercing ovunque, c’è «perché mi ci hanno sempre portata i miei e ora che sono grande ci vengo da sola».
Scambia due parole con un militare bianco vestito (forse è dell’aeronautica).
Quattro ragazzi genovesi, tornati a Farnocchia (località del posto) per le vacanze, hanno convinto Claudia a rinunciare al mare: «Ci possiamo andare tutti i giorni, qui solo il 12 agosto».
Se la sono fatta a piedi, e da Pietrasanta sono dieci chilometri.
Il Parco nazionale della Pace è bello, «Schily ci ha promesso che il governo tedesco contribuirà a completarlo, con le strutture di accoglienza», gongola Silicani.
L’altra mostra sono i volti di Oliviero Toscani, i ritratti di oggi dei superstiti di allora.
Gli stessi cognomi, ma facce invecchiate, almeno loro: la mascella serrata dei Battistini, gli occhi tristi dei Pardini, i baffi dei Pellegrini, le belle facce tonde con il naso corto e sporgente dei Mancini.
C’è anche la foto di Enio, che è il responsabile del Museo di Sant’Anna, «grande oratore», lo definiscono e infatti si propone a radio e tv.
Ecco, i 560 sarebbero invecchiati così.
Invece ne aleggia una memoria pesante, anime presenti in eterno, si legge su una lapide.
E resta qualche oggetto rinvenuto fra le ceneri e raccolto in una vetrina: anelli, un portafoglio con le foto dei figli eleganti e pettinati, cento lire grandi come un fazzoletto aperto.
Si torna a valle, al mare.
Elisa è un po’ più stretta al milite, e verso il tocco il sole s’affaccia fra le nuvole.

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