dal giornale Repubblica del 14 aprile 2002

Fu una strategia precisa per terrorizzare la popolazione



Parte dal processo al feldmaresciallo Albert Kesselring il nuovo libro di Ivan Tognarini dedicato alle stragi mazifasciste in Toscana in uscita proprio in questi giorni (presso la casa editrice Carocci) in cui tornano alla ribalta le responsabilità per le stragi di Sant'Anna di Stazzema e di Marzabotto.
"Se il processo a Kesselring avesse avuto un esito diverso- afferma il professore di storia moderna all'università di Siena che è anche presidente dell'Istituto storico della Resistenza in Toscana - avrebbe forse contribuito a nonfar insabbiare le altre inchieste sulle stragi nazifasciste.
E si sarebbero salvate memorie e documentazione che oggi non sono più recuperabili.
ma alla memoria delle generazioni lasciamo almeno la condanna morale degli uomini che in questi giorni sono stati identificati".
Il processo a carico del feldmaresciallo della Wehrmacht - che il 3 agosto si trovava a Firenze duranteil minamento dei ponti e della parte monumentale - si svolse nel 1947 a Venezia e non a Roma dove avrebbe dovuto essere celebrato in un primo momento.
Kesselring fu condannato a morte per fucilazione per il massacro delle Fosse Ardeatine, ma poco dopo la pena fu tramutata in ergastolo.
Scrissero lettere e telegrammi in suo favore sia Winston churcill che il generale americano Alexander.
E pochi anni dopo, nel 1952, ottenne la grazia e fu scarcerato.
"Di Marzabotto al processo non si parlò neanche - afferma Tognarini - L'accusa riuscì a tirare in ballo la strage di Sant'Anna di Stazzema.
ma solo per un breve accenno, leggendo un rapporto redatto da un sacerdote.
Kesselring al momento dell'avvio del processo era riuscito a non farla includere tra i capi d'accusa.
L'inchiesta su Sant'Anna, una delle più atroci per il numero delle vittime, oltre 400, e per il numero di bambini e donne straziati e sterminati, era stata avviata dagli americani nel settembre 1944, ma non era arrivata, fu detto, all'individuazione di responsabili.
In ogni caso Kesselring si difese delle accuse di stragi negando di aver saputo di atrocità commesse contro le popolazioni civili.
Al massimo, disse, poteva essersi trattato di qualche disfunsione".
Del processo, emblematico, che avrebbe dovuto diventare la "Norimberga italiana" e che invece rimase un episodio isolato, lo studioso riproduce tra l'altro i passaggi più importanti attraverso le cronache e i commenti dei giornali del tempo, tra cui vari pezzi del "Nuovo Corriere" diretto da Romano Bilenchi.
Fatti e commenti che sono per Tognarini l'occasione di ribadire la tesi da lui a più riprese sostenuta (fin da uno storico convegno svoltosi ad Arezzo nel 1987) che le stragi nazifasciste, che si svolgono lungo i due assi della Cassia e dell'Aurelia, fanno parte di una strategia.
"Non sono episodi casuali, come viene sostenuto nel processo - afferma - non sono la reazione agli attacchi dei partigiani da parte di soldati esasperati, ma una fredda e calcolata operazione di sterminio.
Lo dimostrano i manuali che circolavano su come impiccare i partigiani, su come far convergere la popolazione civile in uno spazio aperto, nella piazza davanti alla chiesa o nel cortile di una villa per poi eliminare tutti a colpi di mitragliatrici.
Un rituale che si è crudelmente ripetuto nelle tante stragi che hanno segnato l'estate toscana di sangue del 1944 in base ad una strategia precisa che scatta spesso anche a prescindere degli attacchi dei partigiani, come terrorismo preventivo per scoraggiare i civili dal sostenerli.

l.p.


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