Antonio Tabucchi sulla strage di Sant'Anna

 
Quand'ero bambino, i grandi, a volte, a cena sussurravano tra loro: "Quello che è successo a Sant'Anna di Stazzema".
Lo dicevano con la complicità dei grandi alla quale non sono ammessi i bambini: "Quello che è successo a Sant'Anna di Stazzema".
Sant'Anna di Stazzema è un piccolo paese sulle pendici delle Apuane, a pochi chilometri dalla casa dove sono cresciuto.
D'estate, se andavamo a Viareggio, si vedevano nelle belle giornate i paesini sui monti: fra i grappoli di case bianche c'era anche quel paese, con quello che era successo.
A sinistra, un po' più in su, c'è Sant'Anna di Stazzema, mi diceva mio padre, Ma cosa c'era successo? Lo chiesi ai grandi: i miei genitori, mio zio, mia zia.
E non mi rispondevano.
Così un giorno lo chiesi al nonno, che aveva fatto la Prima Guerra Mondiale e che non aveva paura di dire quello che non si può dire.
Erano già andati tutti a letto, e certe sere mi portava a letto lui.
Eravamo vicini al fuoco e le faville salivano in alto.
Il nonno muoveva i tizzoni e agitò la fiamma.
È schifo, disse, schifo.
E poi non disse più niente e mi accompagnò a letto.
Nella mia infanzia non ho mai avuto paura, la mia famiglia mi proteggeva.
Ma quella sera ebbi paura, lo ricordo.
Perché capii che c'era un indicibile.
Qualcosa che andava oltre: oltre la decenza, oltre quello che siamo, o che crediamo di essere, da bambini o da grandi.
E senza chiedermelo mi chiesi chi siamo noi, gli uomini. [...]


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