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La strage di Sant'Anna di Stazzema (Lucca)

All’alba del 12 agosto 1944, numerosi autocarri con a bordo centinaia di uomini in tuta nera (dalle 300 alle 500 unità) della 16^ Divisione dei Panzer Grenadier delle S.S., denominata "Reichsführer SS", armate di tutto punto, arrivarono a Valdicastello e da lì i soldati, in lunghe file, a distanza di quattro-cinque metri l’uno dall’altro, s’arrampicarono per raggiungere Sant’Anna, un gruppo di case sparse sui monti dell’alta Versilia (comune di Stazzema), dove si erano rifugiati molti sfollati dei paesi del circondario.
Una colonna di S.S. che aveva iniziato a salire verso Sant’Anna, arrivata a Farnocchia si divise in due squadre; così i tedeschi poterono giungere lassù, sia dalla Foce di Còmpito che da quella di Farnocchia.
Per completare l’accerchiamento delle case, da Monte Ornato si mosse un’altra colonna di soldati.
Nei dintorni di Sant’Anna per un po’ di tempo avevano stazionato i partigiani, astenendosi da compiere azioni di guerriglia in quella località, per non compromettere la popolazione, che avrebbe potuto subire, senza colpe, le violente rappresaglie dei nazisti.
Non è da escludere che i nazisti avessero pensato che la gente del posto ed anche gli sfollati (che pativano la fame e stentavano per sopravvivere) potessero essere, non si sa come, d’aiuto ai partigiani.
Sta di fatto che quando i tedeschi intimarono agli abitanti di Sant’Anna di sfollare a Sala Baganza (Parma), nessuno ottemperò a tale ordine.
Preferirono rimanere su quel monte, anche se la vita d’ogni giorno era durissima.
Il 29 luglio 1944, il Comando delle "Brigate d’assalto Garibaldi" con un manifestino dattiloscritto, affisso sulla porta di una bottega del paese, invitò le donne, i vecchi ed i bambini a non obbedire all’ordine dei tedeschi, effettuando una sorta di resistenza passiva.
Gli uomini vennero invitati ad armarsi sia col fucile da caccia che col forcone, per combattere i tedeschi, come avrebbero fatto le stesse formazioni partigiane.
Intanto, da Sant’Anna, i ragazzi più grandi tutti i giorni guardavano verso Pisa, dove i tedeschi avevano fermato l’avanzata delle truppe alleate; dal fumo causato dall’esplosione delle cannonate e dalle cortine fumogene, cercavano di capire i movimenti del fronte.
Proprio in quei giorni i tedeschi si preparavano a compiere un’azione d’inaudita violenza contro la pacifica popolazione di Sant’Anna, colpevole di aver disobbedito all’ordine di sfollamento.
Fu così che si arrivò all’alba tragica del 12 agosto 1944.
La prima cosa che fecero le S.S. appena arrivati a Valdicastello, fu quella d’imporre a diversi uomini di seguirli per trasportare, caricate sulle spalle, pesanti cassette di munizioni.
Col calcio dei fucili bussavano alle porte delle case, facendo capire di essere intenzionati anche ad uccidere se qualcuno si fosse rifiutato di prestare loro aiuto.
Appena arrivati a Sant’Anna, una S.S. sparò con la pistola un razzo rosso.
Dalla foce di Mosceta e da quella di Compito s’alzarono nel cielo altri due razzi; era il segnale stabilito per sferrare l’attacco.
Quando la gente vide arrivare i soldati, così numerosi, gli uomini riuscirono a fuggire nei boschi vicini; soltanto le donne, i vecchi ed i bambini non si mossero.
Talune spose per ingraziarsi i soldati tedeschi, pensarono di mettere sui tavoli delle loro cucine pane, acqua e vino da offrire ad essi al momento dell’arrivo.
Nessuno immaginava che le S.S. se la sarebbero presa con loro.
Quando la soldataglia tedesca mise in funzione i lanciafiamme, le donne pensarono che volessero soltanto bruciare le case, come avevano fatto a Farnocchia dodici giorni prima, tant’è che iniziarono a tirare fuori i mobili e le masserizie, nel tentativo di salvarle.
Ma subito le S.S. mostrarono le loro vere intenzioni, mettendosi a sparare all’impazzata contro la gente incredula che, senza parole, cadeva in terra senza vita.
Spararono anche contro le bestie che si trovavano nelle stalle.
Non ebbero pietà per nessuno: un gruppo di persone fu spinto coi calci dei fucili all’interno della chiesa.
Su quei poveretti vennero lanciate bombe a mano e scaricati colpi di mitragliatrice.
"Kaputt! Kaputt! Tutti Kaputt!", urlavano le S.S., mentre i corpi delle vittime venivano investiti dal fuoco dei lanciafiamme.
Ad una donna incinta sorpresa nella sua casa, squartarono il ventre e al feto (quasi completo) strappatole dal corpo, venne sparato un colpo di fucile alla tempia.
Furono cento i bambini uccisi; una femminuccia, la creatura più piccola, aveva appena venti giorni.
Molte persone finirono bruciate vive insieme ai loro cari.
Don Innocenzo Lazzeri, il parroco di Farnocchia che era sfollato nella canonica di Sant’Anna, la mattina del 12 agosto aveva appena finito di celebrare la Santa Messa, quando s’accorse che stavano per arrivare i tedeschi.
Al padre che lo supplicava di fuggire con lui nel bosco, non volle dare ascolto.
Forte della fede cristiana che lo animava, si mise in giro per confortare ed incoraggiare la popolazione.
Il fatto di essere sacerdote lo induceva a credere che i tedeschi lo avrebbero rispettato; pensava forse, con la sua presenza, di poter scongiurare il massacro, ma non fu ascoltato e venne anche lui martirizzato.
Mentre in piedi stava benedicendo i corpi della gente uccisa, fu afferrato da due S.S. che lo trascinarono intorno alla chiesa ed al campanile.
Quando venne riportato nella piazza, si chinò per benedire il corpicino straziato di un bambino di pochi mesi.
Mentre faceva il segno della croce, venne crivellato da una scarica di colpi; il suo corpo fu gettato sul rogo dove bruciò insieme a quelli delle altre vittime trucidate in chiesa.
Dietro l’edificio sacro di S. Anna i tedeschi uccisero anche gli otto uomini che avevano portato, fin lassù, le cassette piene di munizioni.
Nel giorno della festa di S. Chiara alcuni soldati delle S.S. preferirono non rendersi complici di tale barbarie; per questo, anziché partecipare alla carneficina, senza farsi vedere dai commilitoni, scaricarono i colpi delle loro mitragliatrici contro gli animali, facendo credere di aver partecipato al massacro.
In questo modo alcuni abitanti di Sant’Anna riuscirono a salvarsi.
Scamparono dalla strage anche poche persone che, rimaste illese sotto i corpi dei familiari uccisi, finsero di essere morti insieme a loro.
Quando le S.S. ridiscesero a valle, a Sant’Anna rimasero i resti di 560 persone, tra bambini, anziani e donne, spietatamente massacrati da belve feroci con sembianze umane.
Quella del 12 agosto 1944 fu la più grande strage degli innocenti compiuta dalle S.S. in Italia durante la seconda guerra mondiale.

La spaventosa strage degli innocenti è realmente avvenuta così com’è stata descritta.
Soltanto dopo cinquant’anni trascorsi dall’estate 1944, allorché é stato possibile prendere visione dei documenti relativi all’eccidio, si è appreso che esso fu compiuto dalla 5ª Compagnia del II Btl. del 35° Rgt. della 16^ SS Panzer Grenadier Division, composto da giovanissimi volontari, al comando del capitano austriaco Anton Galler e non dal maggiore Walter Reder, sospettato per lungo tempo di aver partecipato e diretto l’azione criminale di S. Anna (Reder fu assolto da tale accusa ma fu condannato per altre stragi compiute in quegli anni).
Il famigerato e impunito capitano Galler, che dopo la guerra riparò in Canada, dove lavorò per una decina d’anni come operaio in una miniera d’uranio, fece ritorno in Austria dove condusse una vita ritirata, trasferendosi poi in Spagna negli anni ’80.
Galler morì a Denia (una cittadina vicina ad Alicante, nel sud-est della Spagna) nel 1995.
Fu questo criminale di guerra che ebbe il barbaro coraggio di comunicare ai comandi superiori tedeschi, che il 12 agosto 1944, a Sant’Anna, il suo reparto aveva ucciso 270 partigiani.

Renato Sacchelli (idee-libere@libero.it)

19/01/2002

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